Perché la stampa fineart

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La creazione di una stampa fineart implica la presenza di più elementi, sia di natura motivazionale, sia di natura tecnica.
Dal punto di vista motivazionale il fotografo che intende volgere la propria attenzione alla stampa fineart diviene “indossatore” di uno specifico “abito mentale”. Il suo lavoro, oltre ad essere significativo per l’aspetto espressivo, assume rilevanza anche per la produzione dell’immagine, ipotizzando per essa un output pensato realmente per la qualità e la perfezione tecnica. Posizione che non è, come qualcuno sostiene, di natura meramente “tecnicistica”, ma che corrisponde all’idea secondo la quale, la sola valenza espressiva dell’immagine - parametro assolutamente preponderante con cui osservare e comprendere un’immagine - rappresenta il primo (certamente decisivo) step di una molteplicità di piani di analisi.
Accanto ad esso, deve maturare nel fotografo la convinzione che la produzione di un’immagine alla quale affidiamo il senso della nostra ricerca non può accettare “compromessi” che, in qualche misura la dequalifichino.
Avere ottime intuizioni su un determinato progetto, raccogliere immagini concettualmente raffinate e poi vanificarne l’essenza con una stampa che presenta ombre illeggibili, luci prive di dettaglio, squilibri cromatici o “nitidezza” artificiale introdotta con maschere di contrasto applicate in modo scriteriato, è l’equivalente dell’avere un magnifico spartito musicale e di lasciare che esso sia interpretato da un’accozzaglia di musicisti che ne stonano, in modo irriverente, le note.
Non può nemmeno accettarsi la critica, troppo semplicistica e superficiale, che il “tecnicismo” si fagociterebbe il valore “artistico” dell’opera fotografica. Oggi, più che mai, con la fotografia che è diventata (apparentemente) facile per tutti, e che tutti sono/siamo “fotografi”, occorre aumentare ancora di più la tacca del rigore metodologico ed operativo. Non solamente innalzando le proposte di ricerca (ipotesi assolutamente sensata e condivisibile), ma traguardando l’idea che il patrimonio culturale ed intellettuale della fotografia si difende anche, e forse sopratutto, con un’idea di qualità.
Per quanto attiene la tecnica invece, la stampa fineart digitale, al pari di quella argentica, richiede l’impiego di precisi strumenti e un set di competenze che non è né troppo semplice, né spesso agevole conseguire.
Occorre precisare quindi che la conoscenza di uno specifico workflow (da intendersi esattamente come un processo strutturato con specifiche procedure e variabili da gestire) è prerequisito indispensabile.

CENNI SUL WORKFLOW PER LA STAMPA FINEART DIGITALE

PREMESSA

La stampa fineart può essere considerata come il risultato di una serie di attività compiute, in modo preciso e strutturato, all’interno di ciascuna variabile di processo che caratterizza l’azione fotografica, in una sorta di continuum lineare dalla pre-visualizzazione dello scatto, alla stampa finale.
In termini necessariamente generali, occorre quindi considerare le seguenti variabili di processo:

| A | Ripresa
| B | Editing e post-produzione
| C | Stampa
| D | Finissaggio e montaggio

| A | RIPRESA

Spesso sottovalutato, sopratutto da chi approccia all’inizio la fotografia, il workflow di ripresa rappresenta un fattore strategico di successo per ottenere stampe di elevata qualità, riducendo il carico di lavoro alla post-produzione.
Senza qui addentrarci nell’importante tema delle dimensioni del sensore e, conseguentemente, delle dimensioni finali del file (aspetto decisamente utile per le tecniche di ricampionamento/resampling delle immagini), occorre precisare che in ripresa è necessario operare un controllo/messa a punto delle seguenti variabili:
a) Bilanciamento del bianco (deve essere, in funzione delle diverse temperature colore - misurate in gradi Kelvin - il più accurato possibile)
b) Registrazione dei file in modalità “RAW” (solitamente a 16 bit di profondità colore) versus le riprese operate con file in formato “JPG” a 8bit e necessariamente “compressi” ed interpretati dall’intelligenza della camera sulla base di specifici algoritmi di progetto
c) Utilizzo dello spazio colore ADOBE RGB 1988 versus l’sRGB (il Gamut del primo, cioè la rappresentazione dello spazio colore, è assai più ampia del secondo)
d) Corretto impiego delle variabili esposimetriche per massimizzare l’intervallo tonale di un’immagine già in fase di ripresa e ridurre al minimo gli interventi - comunque inevitabili - di post-produzione dell’immagine











Confronto dei gamut in Color Think Pro 3.03 dopo la calibrazione operata con Spyder Elite IV Datacolor: monitor iMac da 27” (Gamut volume: 1.091.940) versus monitor Dell U2412 M da 24” (Gamut volume: 985.326) e raffronto con Adobe RGB 1988 (Gamut volume: 1.207.520)

| B | EDITING E POST-PRODUZIONE

Si tratta di una fase molto complessa e spesso trascurata. In molti casi, senza nemmeno troppa sistematizzazione sull’archiviazione (e spesso senza il ricorso ad un backup), i files vengono caricati sul PC e passati rapidamente in pasto alla visione.
Una fase di editing accurato, invece, prevede che si faccia uso di specifici strumenti software (fra i diversi segnalo l’utilissimo Lightroom che possiede al proprio interno anche un set di strumenti di “sviluppo” del file digitale molto sofisticato) e che le immagini siano organizzate per ambiti tematici, variabili di contenuto, relazioni semantiche, concettuali, ecc…
- L’EDITING
(Che qualcuno assimila tout-court alla post-produzione) prevede che, con le immagini, si costruiscano “tracce”, racconti, relazioni fra le immagini e si ipotizzi, in una prospettiva più strutturata, di creare quello che tecnicamente viene definito uno “storyboard”.
La capacità di tessere relazioni fra le immagini e di costruire un “thelos” ragionato con esse rappresenta una competenza, forse non tecnica, ma necessariamente “linguistica” sull’uso delle immagini.
Dimenticato da molti corsi di fotografia, questo aspetto è forse uno dei più qualificanti per un aspirante fotografo e che, mai come in questo periodo, interessano la fotografia.
E’ anche il caso di ricordare che un aiuto davvero straordinario (si veda quanto più sotto riportato circa il software) alle attività di editing giunge da programmi com Lightroom o Aperture, pensati come veri e propri gestori di banche e con funzioni assolutamente “strategiche” per la costruzione di specifici storyboard.
- LA POST-PRODUZIONE
L’attività di post-produzione, affinché i risultati siano prevedibili e ripetibili, presuppone la conoscenza di specifiche tecniche (e correlate regole) attinenti la corretta gestione di un CMS (Color Management System) e l’uso di specifici software.
Anche in questo caso, è possibile richiamare a grandi linee, i requisiti fondamentali per la corretta gestione di un file digitale. Vediamo quali sono, in termini di processo, quelli da avere bene in mente:

a) L’impiego di un monitor di buona qualità.
A questo riguardo si precisa che, in relazione a quanto più sopra specificato circa l’impiego dello spazio colore Adobe RGB 1988 in ripresa, un buon parametro con cui valutare un monitor deriva dal valore percentuale con cui esso arriva a rappresentare, in visualizzazione, lo spazio colore Adobe RGB. Molti monitor, infatti, sono ottimizzati per lo spazio colore Adobe sRGB che, come dimostrano le rappresentazioni grafiche qui incluse, è uno spazio il cui volume di Gamut è significativamente inferiore (circa il 30% in meno). Una buona scelta, considerando che un monitor dura diversi anni, potrebbe essere quella di sceglierlo con un Gamut che, riferito all’Adobe RGB 1988, arrivi a percentuali di copertura del 98-99%.
I monitor, ovviamente, possono avere fra loro caratteristiche diverse: a questo riguardo, si considerino i grafici qui sotto riportati, indicanti il volume del gamut dei profili colore ottenuti con calibrazione Spyder Datacolor Elite IV del monitor Imac da 27” in relazione al Dell U 2412 M da 24”, confrontati con l’Adobe RGB 1988.

b) Calibrazione del monitor
Per questo scopo è necessario prevedere l’acquisto di uno strumento di calibrazione dedicato, come ad esempio gli “Spyder” di »» Datacolor, che sono dotati di un software di calibrazione.

c) Il software
In questo campo le opzioni sono molte, ma aldilà dello specifico programma, ciò che un fotografo interessato alla stampa fineart deve traguardare, è l’acquisizione di un set di competenze che gli consentano di poter interpretare, esattamente, l’immagine come egli l’ha pre-visualizzata in ripresa. In questo contesto, e per il discorso che qui interessa, si precisa che la post produzione a cui si fa riferimento è quella capace di valorizzare lo scatto ripreso in origine. Quindi il discorso è dedicato a quegli strumenti che consentono di estendere la gamma tonale, quella cromatica (con la valorizzazione o la riduzione della saturazione), ecc.. Sono qui esclusi, perché poco consoni all’idea di una “fotografia etica”, i fotomontaggi o le post-produzioni esasperate che stravolgono l’originale rappresentazione del soggetto prevista dal fotografo.
Spyder elite IV Spyder elite IV Il paradigma di riferimento, nelle attività di post-produzione (soprattutto e proprio per la gestione dei menu e delle schede di stampa) è considerato Photoshop. Esistono interessanti alternative, anche gratuite, tra cui Gimp.
Se Lightroom è un ottimo gestore - e facilitatore - della complessità, il fratello naturale a cui accoppiarlo (anche perché richiamabile dall’interno di Lightroom medesimo) è Photoshop. Un “duo” di eccezione con cui, potendo aggiungere per ciascuno di essi, determinati plugins (programmi di Adobe o terze parti sviluppati per migliorare le prestazioni ed offrire nuove funzionalità al software di base), si soddisfano tutte, direi nessuna esclusa, le esigenze di editing e post-produzione delle immagini digitali pensate per una stampa fineart.

d) La gestione del file in post-produzione
I file realizzati in modalità RAW e post-prodotti in Photoshop, devono prima essere convertiti (solitamente in files TIF a 16bit o, tramite »» Adobe DNG Converter , in file con estensione *.dng).
Raw Therapee Per una lettura/conversione ottimale dei files RAW ci sono diverse soluzioni: impiegare il software proprietario fornito con la camera al momento dell’acquisto (solitamente da installare mediante un CD); utilizzare Lightroom (purché aggiornato alla versione capace di leggere i RAW che sto impiegando nella mia camera) o utilizzare altri software, anche freeware, fra cui l’eccellente (anche se un po’complesso) »» RAWTHERAPEE.
Indipendentemente dal percorso agito, occorre aver chiaro in mente che è necessario ottenere un file a 16bit che sfrutti tutte le informazioni native dell’originario file RAW impiegato in ripresa. Questo file, quindi, dovrà essere impiegato in post-produzione associandolo sempre allo spazio colore Adobe RGB 1988.
La post-produzione, quindi, andrà eseguita avendo in mente queste due variabili:

a) gestione del file a 16bit;
b) impiego dello spazio colore Adobe RGB 1988

Un discorso a parte va fatto per la gestione dei files pensati per una stampa in bianco/nero. In questo caso, fermo restando il fatto che richiedono un workflow specifico (in taluni casi anche più specialistico), un primo approccio giunge dal convertire il file, fin da subito, al profilo di Adobe Grey Gamma 2.2.

c) Il software
In questo campo le opzioni sono molte, ma aldilà dello specifico programma, ciò che un fotografo interessato alla stampa fineart deve traguardare, è l’acquisizione di un set di competenze che gli consentano di poter interpretare, esattamente, l’immagine come egli l’ha pre-visualizzata in ripresa. In questo contesto, e per il discorso che qui interessa, si precisa che la post produzione a cui si fa riferimento è quella capace di valorizzare lo scatto ripreso in origine. Quindi il discorso è dedicato a quegli strumenti che consentono di estendere la gamma tonale, quella cromatica (con la valorizzazione o la riduzione della saturazione), ecc.. Sono qui esclusi, perché poco consoni all’idea di una “fotografia etica”, i fotomontaggi o le post-produzioni esasperate che stravolgono l’originale rappresentazione del soggetto prevista dal fotografo.
Spyder elite IV Spyder elite IV Il paradigma di riferimento, nelle attività di post-produzione (soprattutto e proprio per la gestione dei menu e delle schede di stampa) è considerato Photoshop. Esistono interessanti alternative, anche gratuite, tra cui Gimp.
Se Lightroom è un ottimo gestore - e facilitatore - della complessità, il fratello naturale a cui accoppiarlo (anche perché richiamabile dall’interno di Lightroom medesimo) è Photoshop. Un “duo” di eccezione con cui, potendo aggiungere per ciascuno di essi, determinati plugins (programmi di Adobe o terze parti sviluppati per migliorare le prestazioni ed offrire nuove funzionalità al software di base), si soddisfano tutte, direi nessuna esclusa, le esigenze di editing e post-produzione delle immagini digitali pensate per una stampa fineart.

d) La gestione del file in post-produzione
I file realizzati in modalità RAW e post-prodotti in Photoshop, devono prima essere convertiti (solitamente in files TIF a 16bit o, tramite »» Adobe DNG Converter , in file con estensione *.dng).
Raw Therapee Per una lettura/conversione ottimale dei files RAW ci sono diverse soluzioni: impiegare il software proprietario fornito con la camera al momento dell’acquisto (solitamente da installare mediante un CD); utilizzare Lightroom (purché aggiornato alla versione capace di leggere i RAW che sto impiegando nella mia camera) o utilizzare altri software, anche freeware, fra cui l’eccellente »» RAWTHERAPEE.
Indipendentemente dal percorso agito, occorre aver chiaro in mente che è necessario ottenere un file a 16bit che sfrutti tutte le informazioni native dell’originario file RAW impiegato in ripresa. Questo file, quindi, dovrà essere impiegato in post-produzione associandolo sempre allo spazio colore Adobe RGB 1988. La post-produzione, quindi, andrà eseguita avendo in mente queste due variabili:

a) gestione del file a 16bit;
b) impiego dello spazio colore Adobe RGB 1988

Un discorso a parte va fatto per la gestione dei files pensati per una stampa in bianco/nero. In questo caso, fermo restando il fatto che richiedono un workflow specifico (in taluni casi anche più specialistico), un primo approccio giunge dal convertire il file, fin da subito, al profilo di Adobe Grey Gamma 2.2.
Il paradigma di riferimento, nelle attività di post-produzione (soprattutto e proprio per la gestione dei menu e delle schede di stampa) è ovviamente Photoshop, ma esistono interessanti alternative, anche gratuite, tra cui GIMP (prodotto peraltro per tutti i sistemi operativi, ivi compreso Linux).

| C | STAMPA

Le attività più sopra descritte sono quelle indispensabili per poter operare in un ambiente pensato e progettato per la stampa fineart.
Al termine del processo di post-produzione/valorizzazione del file, il risultato raggiunto, rispetto ad una stampa fineart, è circa al 60% del proprio (complesso) percorso.
Per quali ragioni?.. Molte e complesse. Vediamole in sintesi.

MATERIALI DI STAMPA:
tipologia della carta (superficie e grammatura); tipologia degli inchiostri (ad acqua, ai pigmenti o inchiostri specialistici, come i Piezography per il bianco/nero).

IL FORMATO:
le dimensioni massime preventivate (unitamente alla tipologia di inchiostri previsti per le stampe) condizionano la scelta di una determinata tipologia di stampante.

LE TECNICHE DI STAMPA:
La possibilità cioè, di stampare le immagini ricorrendo a diverse strategie, tutte riconducibili alle tecniche di stampa: mediante il driver fornito con la stampante (scelta decisamente poco interessante e limitata nel potenziale di valorizzazione del Gamut dell’immagine); mediante profili colori chiamati “Canned” (in scatola), che sono solitamente disponibili per determinate carte e, infine, mediante profili chiamati “Custom” (profili personalizzati ottenuti mediante specifici strumenti di calibrazione - hardware e software) che massimizzano, più di ogni altro approccio, i risultati qualitativi di una stampa.

| D | FINISSAGGIO E MONTAGGIO

Questo è l’ultimo passo che, al pari degli altri, va attentamente analizzato. Più in particolare, fermo restando che il modo con cui una stampa viene esposta è estremamente soggettivo e, tutt’al più in funzione del contesto (spazi espositivi previsti e correlate illuminazioni) o del soggetto, giova qui ricordare che le fotografie vanno montate. I materiali impiegabili sono diversi e variano in funzione dei risultati e dei costi di produzione. A grandi linee, con una riflessione che non può certo considerarsi esaustiva, possiamo considerare la stampa montata con passe-partout (solitamente tagliato a 45°) e cornice (da preferirsi, quasi assolutamente, senza vetro); il montaggio su materiali di tipo plastico o misti (Forex puro o, in alternativa, materiali simili composti da un sandwich realizzato con panelli di Forex sottile all’esterno e una struttura di allegerimento intermedia e di tipo alveolare), montaggi su pannelli di alluminio, fra cui il celebre “Dibond” con spessori (in funzione delle dimensioni dell’immagine) da 3 o 5 mm o, infine, il montaggio su pannelli lignei tipo “Medium-Density”.
Tutti i sistemi presentano aspetti positivi e negativi. Fra quelli più critici, è il caso di segnalare che l’impiego di carte pregiate per ottenere perfette stampe fine-art (si pensi alle carte 100% cotone o ad altri particolari e pregiati materiali come il bambù) mal si coniuga, solitamente, con l’impiego di collanti che, difficilmente, potranno garantire nel corso del tempo una perfetta integrità alla stampa. Da questo punto di vista, anche se considerata una soluzione “old-style” e sicuramente molto “ortodossa” rispetto alle attuali “moderne” tendenze (legate più all’apparenza dell’immagine esposta che alla qualità dei prodotti impiegati per preservarne l’integrità), la soluzione di impiegare, senza colla alcuna, un passe-partout acid-free certificato con del semplice scotch, anch’esso acid-free, per fissare l’immagine (solo sugli angoli) al pannello di fondo, rappresenta, con l’impiego della cornice esterna (senza vetro) la tecnica più adeguata per la conservabilità della fotografia.

NOTA:
In questo spazio è impossibile, pensato come riflessione di carattere generale sulla stampa fineart, entrare dettagliatamente nel merito di tutti gli aspetti sopra elencati.
A questo riguardo, per avere una possibilità di approfondimento sui contenuti proposti, attraverso un percorso formativo, di tipo esperenziale, si tengano controllate le iniziative di PHF PHOTOFORMA legate agli SPECIALISTICI WORKSHOP sulla STAMPA FINEART e sugli applicativi Lightroom e Photoshop